di Stefania Giroletti
Inauguriamo una nuova Rubrica su STT dedicata al mondo della scuola. Ogni terzo sabato del mese proponiamo ai nostri lettori approfondimenti, analisi o narrazioni che rispondano alla domanda: come va a scuola?
La Palestina ha insegnato a lottare. Lo ha insegnato in maniera trasversale a lavoratori e lavoratrici, pensionati e adolescenti. Per molti questo è stato un risveglio: dall’impotenza; dal cinismo; dall’individualismo. Due scioperi generali hanno visto migliaia di persone riversarsi nelle strade di tutta Italia. Fra gli altri, gli studenti delle scuole di vario ordine e grado, insieme ai loro docenti. Per questo abbiamo deciso di inaugurare la rubrica dedicata alla scuola proprio con un articolo che parli della Palestina e di come l’indignazione verso l’oppressione del popolo palestinese si sia trasformata, anche nel contesto scolastico, in una rivendicazione di democrazia e in forme di organizzazione dal basso.
Siamo docenti e conosciamo l’inerzia con cui si muove l’istituzione scolastica. Abbiamo sperimentato la vuotezza dei progetti PNRR: vincolati, affrettati e temporanei. Soppesiamo da anni l’inconsistenza delle retoriche sull’individualizzazione; sull’Alternanza scuola lavoro che continua a cambiare nome ma non sostanza; sull’orientamento. Progetto dopo progetto, carta dopo carta (il dominio della burocrazia) le parole si svuotano.
Ma se facciamo questo lavoro è anche perché nel rapporto educativo ci crediamo e sappiamo che, come docenti, dobbiamo costituire un esempio di fronte ai nostri studenti e studentesse. Come avremmo potuto parlare in classe di democrazia, di pace, di solidarietà, di diritti e di Costituzione ignorando il genocidio in corso? In molti si è capito che non sarebbe stato possibile svolgere la propria funzione di educatori senza prendere una posizione.
Le iniziative sulla scuola, la risposta dello Stato
La mobilitazione del corpo docenti è iniziata durante lo scorso anno e ha dato vita a svariate reti nazionali, come Docenti per Gaza, o locali, come il Tavolo per la Palestina della Bassa Padovana. Dalla fine dello scorso anno scolastico si sono moltiplicate le mozioni in Collegio Docenti per denunciare la crisi umanitaria e il genocidio in corso nella Striscia, prendendo le distanze dalla connivenza del governo italiano con le politiche colonialiste e terroriste di Israele e impegnandosi, in ambito educativo, a portare la Palestina nelle classi. La diffusione delle mozioni, anche grazie al lavoro dei sindacati di base (Cobas scuola e USB) si è fatta capillare con l’inizio del nuovo anno scolastico. Sempre più docenti hanno richiesto che fosse discusso il punto all’ordine del giorno. Ma non tutti sono riusciti a far approvare la mozione, si sono verificati casi di ostruzionismo e censura. Di fronte al montare della mobilitazione del corpo docente, gli Uffici Scolastici Regionali hanno verosimilmente raggiunto i vari dirigenti con una nota ufficiosa rivolta a sedare l’attivazione collegiale. Qualcosa è anche filtrato: una nota interna dell’Usr del Lazio, trapelata alla stampa, lascia immaginare cosa sia accaduto in tutta Italia.
Alla c. a. del Dirigente scolastico,
La rilevanza degli eventi geopolitici in corso è una tematica su cui si invitano le SS.LL. a garantire la massima serenità nell’organizzazione di occasioni di confronto e di dibattito nell’ambito delle occasioni didattiche. Tanto premesso, è necessario sottolineare l’esigenza di assicurare le specificità dei luoghi e dei momenti della vita scolastica, quali le riunioni degli organi collegiali, che devono essere esclusivamente finalizzate alla trattazione delle tematiche relative al buon funzionamento dell’istituzione scolastica e sottratte a qualunque altra finalità.
Cosa portare in Collegio Docenti
Ne abbiamo parlato con Francesco Bussi del Tavolo per la Palestina della Bassa Padovana, ex dirigente scolastico, che ha ribadito la tendenziosità di una posizione volta a imbavagliare il Collegio Docenti. Francesco, facendo riferimento all’esperienza del Tavolo per la Palestina, consiglia ai docenti di attivare al meglio le competenze degli organi collegiali, anche per superare preconcetti dei dirigenti o, peggio, indicazioni ministeriali censorie. Riportiamo qua un piccolo prontuario utile a chiunque, lavorando a scuola, abbia a cuore il carattere democratico dell’istituzione.
- In primo luogo, e in vista del rinnovo di quest’anno, è necessario inserirsi nella commissione PTOF, non delegando il lavoro al dirigente di turno e al suo team. Il PTOF è infatti la carta di identità della scuola, in cui sono delineati i cardini pedagogico didattici del singolo istituto. È compito del Collegio Docenti vagliare e approvare le scelte di carattere metodologico didattico contenute nel piano. I docenti hanno ancora in mano la loro scuola e devono farsi carico delle proprie responsabilità, senza demandare. Attraverso il PTOF può essere formalizzata l’esigenza di trattare argomenti di geopolitica e diritto internazionale. Identificando fra gli obiettivi quello del rispetto dei diritti umani, ad esempio, si aprono le porte alla possibilità – o necessità – di parlare di Palestina (come di qualsiasi altra situazione analoga).
- La formazione docenti è di pertinenza del Collegio Docenti e non può essere in alcun modo calata dall’alto. Sono i docenti che formulano un piano di formazione annuale e si occupano di organizzarlo. Questa potrebbe essere una via ulteriore per concentrare l’attenzione sulla Palestina fra gli educatori, come hanno fatto i docenti del Tavolo per la Palestina della Bassa Padovana, i quali hanno proposto e fatto approvare da diversi Collegi docenti un piano formativo di quattro incontri dedicati al diritto internazionale umanitario; a un approfondimento storico sul conflitto israelo-palestinese; all’indagine dei legami economico-finanziari e militari fra Israele e l’Occidente.
- Entrare nelle commissioni che formulano il piano dell’Educazione civica e inserire lì obiettivi generali (come la difesa della libertà di espressione o, ancora, i diritti umani, o la funzione degli organi internazionali nel contesto geopolitico attuale) che legittimino una declinazione tematica sul genocidio ai danni del popolo palestinese, fra le altre cose.
- Organizzare momenti formativi con i propri studenti, come conferenze o proiezioni (vedere insieme ai propri studenti un film come “No Other Land” o “Erasmus in Gaza”, come propone il Tavolo per la Palestina).
Il piano sindacale: come attivarci in quanto lavoratori
A questi punti va aggiunto un piano ulteriore. Siamo abituati a pensare alla rappresentanza sindacale e in genere all’organizzazione sui luoghi di lavoro come a qualcosa di poco incisivo, utile solamente alla contrattazione d’istituto e alla difesa della categoria. L’organizzazione sui luoghi di lavoro, invece, è fondamentale in un momento come quello che stiamo attraversando: avere una RSU consapevole, dunque, può permettere di aprire, all’interno delle scuole, luoghi di discussione e di presa di parola svincolati dal piano istituzionale. Da qui possono emergere posizioni che sfuggono al controllo della dirigenza e degli USR; solo dalle assemblee dei lavoratori, inoltre, può nascere una pratica di sciopero che risulti incisiva e non testimoniale, come in parte è accaduto il 22 settembre e il 3 ottobre.
Il DDL Gasparri: teniamo alta la guardia!
A ridosso della dichiarazione di tregua e del discutibile progetto di pace confezionato da Trump, con un atteggiamento di sospetta sordità alla voce potente delle piazze mobilitatesi da poco, in Italia si è iniziato a parlare del DDL Gasparri denominato “Disposizioni per il contrasto all’antisemitismo e per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo”. Questa definizione, elaborata dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance, nata nel 1998 e composta da 35 stati membri), inquadra come espressione di antisemitismo anche qualsiasi critica nei confronti dello Stato di Israele e del sionismo. La scuola, in particolare, è chiamata a sorvegliare e denunciare espressioni di antisemitismo così intese all’interno della propria comunità. A vigilare sui possibili “cattivi maestri” saranno i dirigenti scolastici, con sanzioni e con sospensioni dal ruolo. Un pacchetto formativo sulla cultura ebraica e israeliana (preparato da chi?) sarà messo a disposizione dei docenti e, per ricaduta, sarà trasmesso agli studenti di ogni ordine e grado. La scuola del controllo e della censura cozza con lo spirito di iniziativa che ha rivitalizzato la funzione democratica del Collegio Docenti da un anno a questa parte, nonché con la libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione.
A scuola, come fuori, il nostro governo escogita e attua forme di repressione più o meno morbide per demotivare l’inedita attivazione popolare di questo autunno, dopo aver fallito nel tentativo di sminuire e delegittimare ogni voce critica sull’operato di Israele in Palestina avanzando lo spauracchio dell’antisemitismo (che poi, da che pulpito ci deve venire il monito!) o avallando l’idea salviniana che lo sciopero altro non sia che un “weekend lungo”. L’indignazione e la voce dei lavoratori e delle lavoratrici questa volta è stata più forte e ha rifiutato di rimanere incastrata in simili false retoriche. Ma la riconquista di una coscienza politica e democratica, nei nostri collegi docenti e fuori, non è ancora consolidata. Bisogna tenere alta la guardia.
